Il padre non era d’accordo: il Tribunale di Trani ricorda che è necessario che il consenso alla pubblicazione sia prestato dai genitori, concordemente tra loro (ordinanza 30 agosto 2021)
Anche i video pubblicati su TikTok finiscono nel mirino dei giudici.
Per la prima volta il Tribunale di Trani – con l’ordinanza del 30 agosto 2021 (testo in calce) – si è occupato dei filmati condivisi sul social network dove vengono caricati contenuti di breve durata.
Il Tribunale ha considerato che la pubblicazione da parte della madre di video con la figlia minorenne (di circa nove anni) integra violazione di una serie di norme, nazionali, comunitarie ed internazionali.
In particolare, l’articolo 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo che stabilisce che “nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione” e che “il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”.
Il Tribunale ricorda poi come il Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR) e il Codice della Privacy considerano l’immagine fotografica dei propri figli un dato personale, la sua diffusione integrando così un’interferenza nella vita privata. Dunque, nel caso di minori di anni quattordici, secondo le normi vigenti in Italia, è necessario che il consenso alla pubblicazione di tali dati sia prestato dai genitori, invece dei propri figli, concordemente tra loro e senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazione dell’immagine del minore.
Nell’ordinanza, il Tribunale di Trani fa anche sue le considerazioni del Tribunale di Mantova, che precisava in una sentenza del 19 settembre 2017 che “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Dunque, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente”.
Pertanto, il Tribunale ha condannato la madre a rimuovere i video ed a versare una somma di 50 euro sul conto della figlia per ogni eventuale giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione.
Al di là del diritto all’immagine, infatti, le conseguenze della condivisione di immagini o video di minori su Internet sulla loro Privacy ma anche la loro sicurezza possono essere altamente dannose.
Questa pratica, che consiste nel condividere continuamente foto dei propri figli sui social, è chiamata “sharenting” ed è già stata oggetto di diversi commenti. Infatti, la condivisione di tali immagini regala ai bambini un “tatuaggio digitale” indelebile, di cui non sono sempre contenti in seguito. Inoltre, non è esente da rischi. Ad esempio, si considera che entro il 2030 lo sharing rappresenterà i due terzi di tutte le frodi di identità che colpiscono i giovani. Le informazioni condivise dai genitori possono essere successivamente utilizzate per prestiti fraudolenti, transazioni con carta di credito e truffe negli acquisti online.
Non solo, tale pratica può anche creare problemi per l’incolumità fisica di un bambino. Molte foto d’infanzia “innocenti” pubblicate dai genitori trovano la loro strada nei siti Web pedofili. Una foto può esporre un luogo a estranei. Le persone malintenzionate possono utilizzare le informazioni per contattare i bambini sotto falsa identità con l’intenzione di abusarne. Questo è ancora più vero considerando i video che vengono spesso caricati sul social TikTok.
È altresì importante ricordare che ogni foto postata online verrà infine analizzata da diversi algoritmi che sono in grado di elaborare ed acquisire da tali immagini numerosi dati personali. Sebbene il GDPR sancisca l’esistenza del diritto alla cancellazione dei dati, quando si tratta di diffusione online, da un lato molto spesso i dati ivi presenti non vengono cancellati ma solo resi invisibili, dall’altro lato la perdita del controllo sugli stessi è di fatto inevitabile, essendo impossibile rintracciare le singole ipotesi di “copia” o “download” su terminali di terze parti.[1]
Il considerando 38 del GDPR recita che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”. È proprio per questo motivo che, come ricorda il Tribunale di Trani nell’ordinanza commentata, è necessario che il consenso alla pubblicazione online di immagini dei figli minori sia prestato dai genitori.
Tuttavia, secondo alcuni autori[2], il Regolamento europeo trascura purtroppo la possibilità che i genitori possano non essere tecnologicamente competenti per salvaguardare la privacy dei propri figli o che non sempre si sentano obbligati ad agire nel migliore interesse dei propri figli. Così, l’uso della “condivisione” come mezzo per convalidare il ruolo dei genitori è cresciuto in modo esponenziale e ha portato all’esposizione online dell’identità dei bambini senza alcun riguardo per le possibili conseguenze negative come il furto di identità, la criminalità online e la privazione dell’autonomia e del diritto all’autodeterminazione dei propri figli.
Pertanto, il Tribunale ha giustamente accolto il ricorso del padre nel caso di specie per tutelare i diritti della figlia minorenne. È da augurarsi che decisioni analoghe, e la loro diffusione, possano accrescere la consapevolezza dei genitori delle possibili conseguenze e dei rischi della condivisione di immagini, e a maggior ragione video, dei propri figli online.
Fonte: Altalex.com – articolo a cura di Marco Martorana