In caso di ripetizione di indebito oggettivo, la banca convenuta può validamente eccepire la prescrizione allegando l’inerzia del cliente e dichiarando di volerne profittare, e l’eventuale obbligo di corresponsione degli interessi può decorrere, oltre che dalla domanda giudiziale, anche da atti stragiudiziali con valore di costituzione in mora.
E’ quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza 13 giugno 2019, n. 15895 (scarica il testo in calce), con la quale gli Ermellini superano il proprio precedente orientamento sul punto.
La sentenza trae origine da un’azione di ripetizione di indebito oggettivo proposta nel 2006 da una S.a.s. nei confronti di un istituto di credito.
La società attrice chiedeva la rideterminazione del saldo relativo a due conti correnti assistiti da apertura di credito e dunque la condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente versate e degli interessi.
Lamentava in particolare l’applicazione di interessi passivi e commissioni di massimo scoperto, entrambi non dovuti, i primi perché pattuiti mediante clausole nulle, le seconde perché non concordate.
Il Tribunale rigettava la domanda accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla banca ma la decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello.
Quest’ultima, muovendo dalla nota distinzione tra funzione solutoria o anticipatoria dei versamenti in conto corrente affermata dalle Sezioni Unite con sentenza n. 24418 del 2010, accoglieva l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca ritenendola validamente proposta.
Di qui il ricorso per cassazione proposto dall’attrice ed il rilevato contrasto interpretativo in merito alle modalità con cui la banca convenuta deve formulare l’eccezione di prescrizione, ai fini della sua ammissibilità, con conseguente rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte.
Funzione solutoria e ripristinatoria della provvista ed onere di allegazione della banca convenuta
Muovendo dalla propria precedente pronuncia da cui è scaturito il riferito contrasto (sent. n. 24418 del 2010 cit.), le Sezioni Unite ne ripercorrono i passaggi salienti, tentando di identificare l’onere di allegazione da cui è gravata la banca che voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che l’ha citata per la ripetizione di indebito.
I giudici osservano che affinché possa sorgere il diritto a ripetere un pagamento indebitamente eseguito è necessario che il pagamento stesso esista e sia ben individuabile.
Il pagamento esiste quando c’è uno spostamento patrimoniale da un soggetto (solvens) in favore di un altro (accipiens), mentre è indebito quando manca una causa idonea che giustifichi tale spostamento di ricchezza.
I presupposti in questione sono imprescindibili anche quando si voglia eccepire la prescrizione del diritto a ripetere il pagamento, nel senso che l’eventuale decorso del termine avverrà solo a seguito di un atto giuridico qualificabile come pagamento, nel senso sopra detto, che l’attore affermi essere indebito.
Trasponendo tali considerazioni al rapporto di conto corrente, gli artt. 1842 e 1843 c.c. dispongono che l’apertura di credito avviene mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro utilizzabile dal cliente anche in più riprese.
Per tutta la durata del rapporto il cliente potrà ripristinare in tutto o in parte la disponibilità della somma, eseguendo versamenti che gli consentiranno ulteriori, successivi prelievi entro il limite complessivo del credito accordatogli.
Dei versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto saranno qualificabili come pagamenti quelli che hanno avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca.
Quelli cioè eseguiti su un conto “scoperto”, cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quelli che vanno a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.
Tali pagamenti, se indebiti, potranno formare oggetto di ripetizione.
Al contrario, in tutti i casi in cui il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso, i versamenti in conto corrente hanno funzione di mero ripristino della provvista di cui il correntista può ancora continuare a godere.
A ciò consegue un diverso decorso del termine di prescrizione decennale, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, bensì da quella di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
La distinzione tra rimesse risolutorie ed anticipatorie della provvista non ha tuttavia dato luogo a problemi applicativi quanto all’onere di allegazione gravante sul correntista che agisca in ripetizione.
La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che non compete a quest’ultimo allegare la mancata effettuazione di versamenti solutori, trattandosi di un fatto negativo, estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto azionato (così Cass. n. 288119 del 2017).
L’onere di allegazione della banca convenuta nei contrapposti orientamenti giurisprudenziali
Come confermato dall’ordinanza interlocutoria, problemi si sono invece registrati in merito alle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca convenuta in ripetizione.
Posto che, come si è detto, la prescrizione del diritto alla restituzione ha decorrenza diversa a seconda della natura (solutoria o ripristinatoria) dei versamenti effettuati dal correntista, ci si è chiesti se nel sollevare l’eccezione di prescrizione la banca debba anche necessariamente indicare il termine iniziale del decorso temporale, cioè l’esistenza dei singoli versamenti solutori da cui computare l’inerzia del correntista, oppure se possa limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne l’effettività e la durata in base alla norma concretamente applicabile.
Nella sentenza in commento le Sezioni Unite danno atto della duplice, contrapposta risposta al quesito in esame, ripercorrendo alcune tra le più significative pronunce registrate sull’uno e sull’altro versante.
Al primo orientamento hanno aderito quei giudici della Corte di Cassazione secondo i quali i versamenti eseguiti in conto corrente hanno normalmente (o presumibilmente) funzione ripristinatoria della provvista.
Si tratterebbe dunque di versamenti che non determinano uno spostamento patrimoniale dal correntista alla banca, con la conseguenza che chi vuol far decorrere la prescrizione da una data diversa e anteriore rispetto a quella della chiusura del conto dovrà dar prova della diversa funzione assolta dai singoli pagamenti (così Cass. civ. n. 4518 del 2014, ma si vedano anche Cass. civ. n. 20933 del 2017 e Cass. civ. n. 33320 del 2018).
Al secondo orientamento hanno aderito invece quanti ritengono che l’eccezione di prescrizione sia validamente proposta quando la parte abbia allegato il fatto costitutivo che ne è a fondamento (in questo caso l’inerzia del titolare), manifestando al contempo la volontà di avvalersene.
Si osserva infatti che, dato che ai fini della valida proposizione della domanda di ripetizione non è richiesto al correntista di specificare le singole rimesse eseguite che, in quanto solutorie, si siano tradotte in pagamenti indebiti, non si comprende perché la banca che eccepisce la prescrizione debba essere onerata di indicare quali tra i detti versamenti siano solutori, dunque soggetti a prescrizione (così Cass. civ. n. 2308 del 2017; ma si vedano anche Cass. civ. n. 18581 del 2017 e Cass. civ. n. 4372 del 2018).
Nell’intento di comporre il riferito contrasto le Sezioni Unite muovono dalla nozione di allegazione, chiarendo che questa si identifica con l’affermazione dei fatti processualmente rilevanti posti a fondamento dell’azione o eccezione fatta valere in giudizio.
Un’attività, cioè, volta ad individuare i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi dei diritti azionati, che tuttavia non ne ricomprende la relativa qualificazione, trattandosi di attività riservata al giudice il quale vi provvederà in autonomia rispetto all’eventuale ricostruzione offerta dalle parti.
L’adempimento dell’onere di allegazione da parte dell’attore muta a seconda che questi agisca per far valere in giudizio diritti autodeterminati o eterodeterminati.
Analogamente, sul versante del convenuto, dovrà distinguersi a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto (la cui rilevabilità spetta unicamente alla parte) o in senso lato, rilevabili anche d’ufficio dal giudice.
In caso di prescrizione estintiva siamo in presenza di una tipica eccezione in senso stretto, la cui rilevabilità è dunque riservata alla parte (Cass. civ. S. UU. sent. n. 10955 del 2012).
Posto che tale eccezione ha come elemento costitutivo l’inerzia del titolare del diritto, ne discende che la parte che ha interesse a sollevarla sarà gravata unicamente dall’onere di allegare tale inerzia dichiarando di volerne profittare, non essendo necessario che indichi anche direttamente o indirettamente le norme applicabili al caso di specie, attività quest’ultima spettante al giudice.
Muovendo da tali considerazioni la Corte risolve dunque il riferito contrasto giurisprudenziale, affermando il seguente principio di diritto: “l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.
Proseguendo nell’esame dei motivi di ricorso le Sezioni Unite si pronunciano anche in merito ad altra, già affrontata questione, quella inerente l’individuazione del dies a quo da cui far decorrere gli interessi domandati in ripetizione.
Fino all’odierna pronuncia la posizione della giurisprudenza tradizionale e maggioritaria era quella di ritenere che, in caso di ripetizione di indebito oggettivo, il debito dell’accipiens in buona fede producesse interessi unicamente dalla data di proposizione della domanda giudiziale (tra le tante, Cass. civ. n. 3912 del 2018; n. 10161 del 2016; n. 9934 del 2016; n. 4436 del 2014; n. 17558 del 2006; n. 4745 del 2005; n. 1581 del 2004; n. 11969 del 1992).
Non era quindi ritenuto sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora in quanto all’indebito si riteneva applicabile la tutela prevista per il possessore in buona fede in senso soggettivo dall’art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale.
Il tema della decorrenza di interessi in caso di ripetizione d’indebito era già stato affrontato dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 7269 del 1994, che seppur limitatamente al diverso e più circoscritto settore previdenziale avevano affermato la possibile decorrenza degli interessi anche dalla domanda amministrativa e non necessariamente da quella giudiziale.
Tale impostazione, seppur inizialmente priva di seguito (si vedano Cass. SS. UU. sent. nn. 5624 del 2009 e n. 14886 del 2009), trova nuova affermazione con la sentenza in commento.
Invertendo il proprio precedente orientamento le Sezioni Unite muovono dal mutato fondamento storico dell’art. 2033 c.c. e dal suo tenore letterale (che parla unicamente di “domanda”, in contrapposizione alla “domanda giudiziale” dell’art. 1418 c.c.) per affermare che l’obbligo di corresponsione di interessi da parte dell’accipiens in buona fede può decorrere anche da una data antecedente a quella di instaurazione del giudizio e segnatamente da un precedente atto con valore di costituzione in mora.
In caso di ripetizione di indebito, ai fini del decorso degli interessi, il termine “domanda” contemplato dalla norma non deve dunque riferirsi esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende anche atti stragiudiziali di costituzione in mora.
La sentenza della Corte d’appello è stata dunque cassata con rinvio, alla luce dei principi statuiti.
Fonte: Altalex.com – articolo a firma di Irene Marconi