Non vale ad escludere il delitto di cui all’art. 589 c.p. la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente, o si attardino nell’attraversare, costituendo un rischio tipico e pertanto prevedibile nella circolazione stradale (Cass. pen., sez. IV, sentenza 24 febbraio 2021, n. 7094).
La vicenda portata all’attenzione della Corte trae origina dalla condanna, per il delitto di cui all’art. 589 c.p., di un automobilista, che, in violazione dell’art. 141 co. 1,2,3, C.d.S., nel procedere ad una velocità non adeguata alle caratteristiche del tratto (attraversamento di zona abitata) ed alle condizioni ambientali esistenti (asfalto bagnato per il violento temporale), investiva, cagionando lesioni personali da cui derivava il decesso, un pedone intento ad attraversare la strada al di fuori delle strisce pedonali.
Il giudice di primo grado, concludendo, a seguito di istruttoria dibattimentale, che il pedone fosse visibile dall’automobilista – e, dunque, prevedibile un suo eventuale attraversamento – ritenendo configurabile un rimprovero di colpa nei confronti dell’imputato, per non aver guidato con la massima attenzione, correlata alle avverse condizioni di tempo e luogo, sia pure rispettando il limite di velocità, condannava l’imputato alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Con unico motivo di appello, l’imputato lamentava che il sinistro mortale si fosse verificato esclusivamente per fatto illecito della vittima, configurandosi una causa eccezionale, atipica e non prevedibile, da sola sufficiente a provocare l’evento. In particolare, analizzando le emergenze istruttorie, evidenziava la condotta del pedone, che avrebbe attraversato la strada senza usufruire delle strisce pedonali, nonostante l’incipiente arrivo dell’autovettura, facilmente visibile per la presenza dei proiettori ed a velocità – così come acclarato dal Ct del Pm – inferiore al limite stabilito di 50 km/h.
La Corte d’Appello confermava la pronuncia di condanna di primo grado.
Avverso tale provvedimento, a mezzo di proprio difensore di fiducia, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, con unico motivo, lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale – per manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione – nonché travisamento della prova laddove, nonostante più volte segnalato dalla difesa, la Corte territoriale non avrebbe proceduto ad una valutazione unitaria delle prove in atti, nonostante le numerose incongruenze in punto di ricostruzione della dinamica del sinistro e di esclusione della responsabilità dell’imputato. Ci si duoleva, in particolare, che la Corte territoriale fosse giunta ad escludere l’esistenza di una condotta imprudente ascrivibile al pedone, sulla base del positivo accertamento della responsabilità colposa, per violazione delle norme del codice della strada, da parte dell’imputato, sebbene fosse pacifico che il pedone, in siffatte condizioni di tempo e della strada, non aveva fatto prudente uso delle strisce pedonali: sul punto il ricorrente rilevava che il pedone aveva posto in essere un comportamento colposo costituente causa esclusiva del suo investimento.
La sentenza
La Suprema Corte, nella sentenza in epigrafe indicata, afferma in primo luogo che l’addebito di colpa nei confronti dell’imputato, quantunque concorrente con quello della vittima, risulta lineare e coerente con le risultanze processuali.
Osserva infatti che all’imputato non viene contestato il superamento dei limiti di velocità imposti dal codice della strada, ma la prescrizione di cui all’art. 141 C.d.S: le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilità, avrebbero dovuto orientare la condotta dell’automobilista alla massima attenzione e prudenza, “a fronte di un evento, quale lì attraversamento di un pedone, non certo imprevedibile”.
Secondo la Corte di legittimità, il rispetto del limite massimo di velocità non vale ad escludere la condotta colposa dell’automobilista.
L’art. 141 del codice della strada, come noto, impone al conducente del veicolo di regolare la velocità alle caratteristiche ed alle condizioni della strada e del traffico, e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, in modo che venga evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone, delle cose, ed ogni altra causa di disordine per la circolazione. In particolare, la norma impone all’automobilista di padroneggiare il controllo del proprio veicolo, ed il compimento di tutte le manovre necessarie, specie l’arresto tempestivo entro i limiti del campo visivo e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile.
Il Supremo Consesso, nella sentenza in questione, analizza un importante principio in tema di circolazione stradale – evocato peraltro nell’atto di ricorso a favore dell’imputato, che assumeva la non prevedibilità del comportamento tenuto dalla persona offesa, che avrebbe attraversato la strada imprudentemente – ossia il principio di affidamento.
Come noto, il principio di affidamento postula che ciascuno possa e debba confidare nel corretto comportamento altrui, nel fatto che ciascuno osservi le regole cautelari proprie delle rispettive attività svolte: ciascuno è tenuto ad osservare la propria regola cautelare riferibile al proprio modello di agente ed alla propria attività, e ha l’obbligo di contenere i rischi prevedibili ed evitabili che scaturiscono dal proprio comportamento, senza doversi anche “preoccupare” di evitare i rischi che possono derivare dall’altrui comportamento illecito.
Tale principio, in tema di circolazione stradale, come più volte declinato dalla Suprema Corte, trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purchè questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis Cass., sez. IV, n. 51747 del 27.11.2019, Ripepi; Cass. pen., sez. IV, n. 5691 del 2.2.2016, Tettamanti, Rv. 265981).
Pertanto, il conducente che noti sul proprio percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità, e, occorrendo, anche fermarsi, “allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi, che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili” (così sez. IV, sent. n. 8859 del 1988).
In tema di reato colposi (omicidio o lesioni) posti in essere nell’ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo.
Nel caso di specie, non ravvisando un’ipotesi in tal senso, ritenendo invece che dalle risultanze istruttorie valorizzate dai giudici di merito (in particolare, dalle testimonianze svolte nel corso dell’istruttoria, che avevano appurato l’effettiva visibilità del pedone che attraversava) fosse assolutamente visibile – e prevedibile – l’attraversamento del pedone successivamente investito, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Fonte: Altalex.com