Paternità presunta per chi rifiuta di sottoporsi al test del DNA

Postato da il 18 lug 2014 in Diritto civile, Tutti | 0 commenti

Paternità presunta per chi rifiuta di sottoporsi al test del DNA

Tribunale Milano, sez. I, sentenza 01.04.2014 n° 7400

Con atto di citazione, una donna ed il di lei figlio convengono in giudizio il presunto padre, chiedendo che sia accertata e dichiarata la paternità naturale; che il figlio sia autorizzato a conservare il cognome della madre; che il presunto padre sia condannato a restituire alla madre la metà delle somme anticipate per il mantenimento del figlio, oltre al risarcimento del danno morale ed esistenziale.

Si costituisce in giudizio il convenuto, il quale nega la paternità ed eccepisce la prescrizione delle pretese attoree.

Rigettate le istanze di prova orale, in quanto inammissibili ed irrilevanti, viene disposta una C.T.U. sulle persone dell’attore e del convenuto.

Il convenuto, tuttavia, rifiuta di sottoporsi al prelievo biologico adducendo la volontà di non turbare la stabilità e la serenità della propria famiglia.

Il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande, dichiara la paternità naturale, autorizzando il figlio a mantenere il cognome della madre, senza menzione del cognome paterno; rigetta, tuttavia, le domande risarcitorie, ritenendo maturata la prescrizione in conformità a quanto eccepito dal convenuto.

La questione relativa alla decorrenza del termine di prescrizione per l’azione di regressoe di risarcimento del danno da mancato riconoscimento, in caso di dichiarazione giudiziale di paternità, è da molto tempo dibattuta.

Secondo la giurisprudenza della Suprema (cfr. Cass. 23596/2006; Cass. 10124/2004), il termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione, costituendo l’accertamento dello status di figlio naturale il presupposto per l’esercizio dei diritti ad esso connessi .

In particolare, nella pronuncia n. 23596 del 2006, la Suprema Corte ribadisce più volte il principio per cui solo e soltanto con l’attribuzione dello status di figlio naturale (o a seguito di riconoscimento spontaneo o a seguito di dichiarazione giudiziale) sorgono i diritti ad esso legati; in tal senso, il riconoscimento avrebbe natura costitutiva, anche se i suoi effetti rimarrebbero dichiarativi, in quanto i diritti del figlio (e gli obblighi dei genitori) dovrebbero comunque retroagire fin dalla nascita.

Alla stregua di tale orientamento, criticato da buona parte della dottrina, la domanda di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del figlio da parte del genitore coobbligato, se può essere proposta insieme alla domanda di accertamento giudiziale della paternità o maternità (cfr. Cass. 3635/1989), non può trovare accoglimento se non in quanto il giudice pronunci con efficacia di giudicato sulla qualità di figlio naturale o in quanto tale giudicato si sia in precedenza formato.

Prima di tale momento, non essendovi pronuncia sullo status, manca il presupposto stesso per l’accoglimento della domanda, si che non può decorrere la prescrizione dell’azione.

Il Tribunale di Roma ritiene di doversi discostare dall’indirizzo testè richiamato.

In primo luogo, vengono evidenziate le conseguenze negative su un piano etico di tale impostazione: il padre potrebbe non avere mai saputo dell’esistenza di un figlio frutto di un rapporto occasionale e, ormai anziano, si vedrebbe chiedere tutto in un’unica soluzione, con conseguenze molto più pesanti, se non devastanti, rispetto all’adempimento periodico dell’obbligazione di mantenimento.

D’altro canto, il tenore dell’art. 30 Cost. non dovrebbe lasciare spazio a dubbi interpretativi in ordine al fatto che l’obbligo del genitore di mantenere il figlio consegue direttamente alla procreazione e non all’attribuzione formale di uno status.

La norma costituzionale indirizza il legislatore ad una regolamentazione del tema informata al principio del dovere (nel senso di obbligo) del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli in funzione del solo fatto materiale della procreazione e senza alcun vincolo con il riconoscimento formale della paternità o maternità naturale; al principio, cioè, per cui il diritto al mantenimento deve trovare la sua fonte immediata nel fatto della procreazione e non nello status formale di figlio naturale (Cass. 1990/5633)

Il fatto che le questioni di status debbano essere decise con efficacia di giudicato, atteso il loro carattere di assolutezza e la loro efficacia erga omnes, non incide sull’argomento trattato in questa sede che riguarda il concreto rapporto di filiazione in generale.

Quest’ultimo, infatti – osserva il Tribunale – ed alcune delle conseguenze giuridiche ad esso connesse (quelle previste dall’art. 30 Cost. nonché dagli artt. 148, 315 bis e 316 bis c.c.) prescindono dal riconoscimento dello status di figlio

Ciò trova conferma in alcune pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass. 1990/5633; Cass.2012/5652).

In particolare, secondo Cass. 2012/5652, l’obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata.

Ritiene il Tribunale che sia conforme all’evoluzione del diritto positivo, sia interno che internazionale, nonché all’evoluzione della coscienza sociale la tesi che riconnette l’esistenza degli obblighi previsti dagli artt. 148, 315 bis e 316 bis c.c. al solo fatto della procreazione, a prescindere dal riconoscimento formale dello status. Ciò significa, trattandosi di obblighi giuridici, che sia l’azione di regresso sia quella di concorso negli oneri di mantenimento può essere azionata, a prescindere da una pronuncia sullo status passata in giudicato, in giudizio nel quale sarà accertato il fatto della procreazione.

In conclusione, l’orientamento assunto dal Tribunale capitolino appare in linea con le indicazioni provenienti dal sistema disciplinante il rapporto di filiazione, specialmente all’indomani della riforma introdotta con la l. 10 dicembre 2012, n. 129 e con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

Al riguardo si rileva – facendo proprie le considerazioni esposte dal Giudice romano – che la stessa nozione di “responsabilità genitoriale”, contenuta nel novellato art. 316 c.c., in luogo di quella precedente di potestà genitoriale, sembra alludere alla responsabilità connessa al solo fatto della procreazione e non certo al riconoscimento formale dello status di figlio.

Esito della domanda

Accoglimento parziale.

Fonte: Altalex.com

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