Il pagamento in base a titolo esecutivo, opposto ma non ancora definitivo alla data del fallimento, è ripetibile solo se risulta non dovuto (Cassazione civile, sentenza n. 3878/2020)
Con la sentenza n. 3878/2020 (testo in calce) la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulle le sorti del pagamento effettuato dall’imprenditore, quando era ancora in bonis, in base ad un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, tempestivamente opposto ma non ancora definitivo alla data del successivo fallimento.
Pur dando atto del contrasto di opinioni sul punto, la Corte chiarisce che il pagamento è assoggettabile ad azione revocatoria se ne ricorrono i presupposti, mentre il diverso “rimedio” della ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., opera unicamente se vi è un difetto di obbligazione.
A tal fine sarà onere degli organi concorsuali dar prova che il creditore non ha avanzato alcuna pretesa nei confronti della procedura o che la richiesta, seppur presentata, è stata rigettata con decisione irrevocabile.
La pronuncia trae origine dal decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ottenuto nei confronti di una S.r.l., da questa tempestivamente opposto, e dal conseguente procedimento esecutivo promosso nei suoi confronti.
Nelle more del giudizio di opposizione la S.r.l. falliva e il procedimento, ancora pendente alla data di apertura del fallimento, veniva interrotto per tale motivo e non riassunto.
La curatela fallimentare chiedeva che il pagamento effettuato dalla debitrice, quando era ancora in bonis, in favore del creditore, in base al titolo opposto, venisse dichiarato inefficace nei confronti della procedura.
La domanda trovava accoglimento e veniva confermata dalla Corte d’appello all’esito del successivo gravame.
Secondo i giudici distrettuali non trovavano infatti applicazione né l’art. 65, né tantomeno l’art. 67 L. Fall., venendo in considerazione solo il fatto che il pagamento era stato eseguito in forza di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ancora sub iudice perché opposto dall’ingiunta quando ne era stato dichiarato il fallimento, e dunque inopponibile alla curatela.
I giudici ritenevano parimenti infondata l’affermazione dell’appellante che riteneva il pagamento irripetibile per la procedura, in quanto effettuato in base ad un titolo ad essa opponibile (in senso contrario i giudici richiamavano Cass. n. 3401 del 2013).
La S.r.l. proponeva ricorso per cassazione, cui resisteva la curatela fallimentare con controricorso.
Il ricorso per cassazione
La ricorrente si doleva principalmente del fatto che la corte distrettuale avesse completamente trascurato il disposto di cui all’art. 2560 c.c., posto a base della difesa attrice fin dal primo grado di giudizio.
Osservava infatti che il credito portato dal decreto ingiuntivo era fondato anche su un ulteriore titolo, ottenuto nei confronti di un’altra società, che aveva successivamente ceduto alla S.r.l., poi fallita, il ramo di azienda di cui faceva parte il debito quale posta passiva.
La cessionaria era quindi divenuta debitrice solidale con la cedente, per cui il pagamento costituiva l’adempimento di un credito scaduto ben oltre tre anni prima della dichiarazione di fallimento e in ogni caso non era riconducibile alla previsione di cui all’art. 67 L. Fall..
Preliminarmente all’esame dei motivi di ricorso la Corte richiama il costante orientamento di legittimità secondo cui il decreto ingiuntivo, opposto dal debitore poi fallito, è opponibile alla massa fallimentare a condizione che sia stata pronunciata una sentenza di rigetto dell’opposizione o un’ordinanza di estinzione, divenute cosa giudicata per decorso del termine di impugnazione, prima della dichiarazione di fallimento (in tal senso Cass. n. 9933 del 2018; Cass. n. 5657 del 2019).
Circostanze che, osserva la Corte, sono entrambe pacificamente insussistenti nel caso di specie.
Ciò su cui si dibatte è invece la sorte del pagamento nella diversa ipotesi in cui il titolo, seppur opposto, non sia ancora divenuto definitivo alla data del fallimento: tema su cui la giurisprudenza si è espressa in modo contrastante.
Alcune pronunce (Cass. n. 13444 del 2003 e Cass. n. 7539 del 2001) muovono dalla constatazione che l’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c. presuppone un difetto di obbligazione (o perché il vincolo non è mai sorto o perché è venuto successivamente meno per varie ragioni) e dunque escludono la ripetibilità del pagamento, in casi come quello di specie, rilevando che l’inefficacia del titolo provvisoriamente esecutivo nei confronti della massa non implica il necessario difetto di obbligazione richiesto dalla norma.
Seguendo tale impostazione il pagamento sarebbe quindi tuttalpiù revocabile, sussistendone i presupposti, ma non ripetibile.
Di diverso avviso, invece, Cass. n. 6098 del 2006 (poi seguita e ulteriormente specificata da Cass. n. 3401 del 2013), secondo cui malgrado non integri un’azione di ripetizione di indebito, il pagamento in esame implica un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale antecedente all’esecuzione, volontaria o coattiva, del decreto ingiuntivo.
Ne consegue, da un lato, che l’istanza di revoca del decreto implicherebbe la ripetizione delle somme corrisposte in forza della provvisoria esecutività del titolo; dall’altro che l’inefficacia del decreto ingiuntivo travolgerebbe anche il pagamento effettuato sulla sua base.
Muovendo da tali premesse il Collegio decide di dare continuità al primo dei sopra descritti orientamenti, richiamando le argomentazioni di Cass. n. 13444/2003.
Osserva infatti che, malgrado la declaratoria di inefficacia del titolo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei creditori, non era stato affatto accertato il difetto di obbligazione.
La Corte chiarisce che non è in discussione il principio di inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo che al momento di dichiarazione di fallimento sia ancora opponibile o oggetto di opposizione.
Aggiunge tuttavia che inopponibilità non significa revoca del decreto, che non a caso i giudici di merito avevano ritenuto solo inefficace.
L’inopponibilità, precisano gli Ermellini, è infatti circostanza assolutamente irrilevante per qualificare come indebita la prestazione ottenuta in base al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ma opposto o ancora opponibile, e ciò indipendentemente dal fatto che l’adempimento sia stato volontario o coattivo.
In ogni caso, manca infatti un contrario accertamento che consenta di qualificare come non dovuta la prestazione. E a ciò non può certo sopperire la declaratoria di inefficacia del titolo nei confronti della massa dei creditori dopo l’apertura del fallimento.
Nel caso che ci occupa siamo quindi dinanzi ad un’ipotesi di pagamento che è suscettibile di revocatoria, qualora ne sussistano i presupposti, o di ripetizione d’indebito purché la dazione risulti non dovuta.
A tale ultimo fine non è sufficiente che gli organi della procedura concorsuale si limitino ad allegare l’inidoneità del titolo giustificativo, dovendo piuttosto dimostrare che il creditore non ha avanzato alcuna pretesa nei confronti della procedura, nei modi e termini di legge, o che tale pretesa, quantunque proposta, sia stata rigettata con decisione irrevocabile.
Il Collegio ha quindi accolto il ricorso, enunciando il seguente principio di diritto:
“Nell’ipotesi di sottoposizione a procedura concorsuale di colui che abbia eseguito, volontariamente o coattivamente, un pagamento sulla base di un decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, emesso in suo danno e da lui opposto, il pagamento così effettuato dal debitore in bonis è assoggettabile ad azione revocatoria, se ne ricorrano i presupposti, altrimenti rivelandosi ripetibile, ex art. 2033 c.c., soltanto se risulti non dovuto. A quest’ultimo fine, peraltro, è necessario che gli organi della procedura concorsuale alleghino e dimostrino che il creditore non abbia avanzato alcuna pretesa nei confronti di quest’ultima, nei modi e termini di legge, ovvero che tale pretesa, benché proposta, sia stata rigettata con decisione irrevocabile”.
Fonte: Altalex.com