Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 27/03/2018 n° 7513
I pregiudizi relazionali rientrano nel concetto di danno alla salute, per cui la personalizzazione del risarcimento potrà scattare soltanto in presenza di conseguenze straordinarie. È quanto chiarito dalla Terza Sezione Civile della Cassazione, nell’ordinanza n.7513/18, pubblicata il 27 marzo scorso.
Nella vicenda in esame, il ricorrente, ferito in conseguenza d’un sinistro stradale, ha impugnato per cassazione la sentenza di secondo grado, ritenendola contraddittoria, nella parte in cui la Corte territoriale aveva stabilito una riduzione del 25% del risarcimento del danno biologico, ricalcolando il credito residuo dell’attore.
Per accertare se la decisione dei giudici dell’appello sia effettivamente contraddittoria, la Suprema Corte ha preliminarmente, precisato cosa sia il “danno dinamico-relazionale”. A tal riguardo, la Cassazione ha rilevato che l’espressione “danno dinamico-relazionale” venne utilizzata, per la prima volta, nel D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, in cui si stabilì che oggetto dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro fosse l’indennizzo del danno biologico, per poi ricomparire nella L. 5 marzo 2001, n. 57, art. 5, con la quale si intervenne sulla disciplina dei danni causati dalla circolazione dei veicoli.
Assume rilievo il D.M. 3 luglio 2003, in cui si afferma che la commissione ministeriale incaricata di redigere la tabella delle menomazioni vi aveva provveduto assumendo a base del proprio lavoro la nozione di “danno biologico” desumibile sia dal D.Lgs. n. 38 del 2000, sia dalla L. n. 57 del 2001: ovvero la menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, “la quale esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti personali dinamico-relazionali della vita del danneggiato”.
Pertanto, anche in tale decreto, con l’espressione “compromissione degli aspetti dinamico-relazionali” non si volle indicare un danno a sé stante, ma venne usata come perifrasi del concetto di “danno biologico”. Inoltre, nell’ulteriore “Allegato 1″ del suddetto testo, si soggiunge che “ove la menomazione incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali personali, lo specialista medico legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l’eventuale maggiore danno”. Dunque, il danno biologico consiste in una “ordinaria” compromissione delle attività quotidiane; nel caso in cui esso, a causa della specificità del caso, abbia compromesso non attività comuni, ma attività “particolari”, ovvero i “particolari aspetti dinamico-relazionali”, di questa perdita dovrebbe tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente.
Ebbene il danno non patrimoniale derivante da una lesione della salute è convenzionalmente liquidato in base al grado percentuale di “invalidità permanente”, che viene determinato secondo apposite tabelle predisposte con criteri medico-legali.
Pertanto, secondo la medicina legale “per danno biologico deve intendersi non la semplice lesione all’integrità psicofisica in sè e per sè, ma piuttosto la conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona (…). Il danno biologico misurato percentualmente è pertanto la menomazione all’integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti”.
Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, esaminare tutte le conseguenze dannose dell’illecito, e dall’altro, evitare di attribuire nomi diversi a identici pregiudizi. Di conseguenza, in sede istruttoria, occorrerà effettuare un approfondito accertamento, facendo anche riferimento al fatto notorio, alle massime di esperienza ed alle presunzioni, non attuando alcun automatismo risarcitorio.
Inoltre, la Cassazione ha precisato che, nel caso vi sia un danno permanente alla salute, si determinerebbe una duplicazione risarcitoria l’attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente. Pertanto, in presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme, adottato dai giudici di merito, potrà essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e peculiari. Dunque, le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit, non consentono né giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
Al contrario, in presenza di un danno alla salute, non costituisce una duplicazione risarcitoria l’attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi, se essi non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore. Orbene, se provata l’esistenza di pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di una valutazione e liquidazione separata. Di conseguenza, il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, come nel caso del danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa, quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso, ed in entrambi i casi, senza automatismi risarcitori.
Per tali motivi, la Cassazione ha condiviso la decisione della Corte d’appello, che, senza negare che il ricorrente, a causa dell’infortunio abbia ridotto le proprie frequentazioni con altre persone, ha rilevato che tale pregiudizio vada “compreso” nel danno alla salute, e che di conseguenza, ha stabilito che nessun risarcimento aggiuntivo spetti al ricorrente, oltre la misura base prevista dalla tabella per una invalidità del 38% adeguata all’età della vittima.
(Fonte: Altalex, 23 aprile 2018 – Nota di Maria Elena Bagnato)