Avvocato aiuta candidato durante l’esame di abilitazione? Va sospeso

Postato da il 26 mar 2015 in responsabilità professionale, Tutti | 0 commenti

Avvocato aiuta candidato durante l’esame di abilitazione? Va sospeso

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 16.02.2015 n° 3023 (Nota di Alessia Alì)

Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite si occupano del regime transitorio introdotto dalla l. 31.12.212, n. 247, “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”, in relazione al procedimento disciplinare.

Dei quattro motivi di ricorso[1] avverso la decisione del CNF che, confermando quella del Consiglio territoriale, aveva disposto la cancellazione dall’albo di un avvocato al quale era stata contestata la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (di cui all’art. 5 del vigente Codice deontologico forense[2]), di quello di lealtà e correttezza (di cui al seguente art. 6) nonché del dovere di agire in modo tale da non compromettere la fiducia che i terzi debbono avere nella dignità della professione (di cui al successivo art. 56), per essersi egli abusivamente introdotto munito di appunti e trasmettitori, esibendo tesserino simile a quello in dotazione ai commissari di esame e qualificandosi delegato del Consiglio dell’ordine, nelle aule dell’Hotel (omissis) , mentre si svolgeva la sessione di esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per l’anno 2010, ed aver tentato di favorire partecipanti all’esame, i giudici della Cassazione si soffermano sull’ultimo[3], relativo all’eccessività e sproporzione della sanzione irrogata.

Al fine della risoluzione del caso in esame, decisiva appare la lettura dell’art. 65, comma quinto, della legge professionale forense, sopra richiamata, in base al quale “Il codice deontologico è emanato entro il termine massimo di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il CNF vi provvede sentiti gli ordini forensi circondariali e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense in relazione alle materie di interesse di questa. L’entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato”.

Tale norma introduce espressamente il principio del favor rei all’interno del sistema disciplinare forense, in luogo del criterio, già adottato in campo deontologico, del tempus regit actum.

Ne consegue la necessità di valutare la condotta costituente illecito disciplinare prima alla luce delle norme deontologiche così come previste dal Codice in vigore al tempo del compimento dell’illecito; successivamente di valutare la medesima condotta alla luce del Nuovo Codice, attualmente vigente, e conseguentemente applicare la norma che, in concreto, risulta più favorevole all’incolpato.

Il Nuovo Codice deontologico, invero, si caratterizza per una tendenziale tipizzazione degli illeciti e predeterminazione delle sanzioni applicabili; così, con specifico riferimento al caso di specie, mentre la condotta dell’avvocato che faccia pervenire, in qualsiasi modo, ad uno o più candidati, prima o durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto è punita con la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi ai sensi dell’art. 72, primo comma, del Codice deontologico[4], la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro costituisce illecito non tipizzato. Tali doveri, infatti, sono espressi nell’art. 9, inserito tra i principi generali, per i quali il Codice non indica la sanzione applicabile (come fa invece per gli illeciti previsti nei successivi Titoli II, III, IV, V e VI) sancendone invece la rilevanza disciplinare in via generale in virtù della disposizione contenuta nell’art. 20.

Alla luce di tali osservazioni, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso cassando la decisione e rimettendo la questione al giudice della deontologia, affinché compia una nuova valutazione che tenga conto del principio del favor rei espresso dalla legge professionale, irrogando una sanzione che sia adeguata e proporzionale alla violazione commessa.

La sentenza in commento si inserisce nella scia di una serie di pronunce che, subito dopo l’entrata in vigore della legge professione forense, hanno interessato l’interpretazione dell’art. 65, quinto comma.

Invero, già le prime sentenze successive all’entrata in vigore della norma sono state piuttosto restrittive, precisando che il principio del favor rei introdotto dalla legge professionale forense si applica solo alla successione nel tempo di norme deontologiche[5].

Conformemente a tale interpretazione, già prima dell’emanazione del Nuovo Codice Deontologico, le Sezioni Unite avevano quindi escluso la possibilità di applicare il principio del favor rei in relazione al rapporto tra il Codice deontologico allora vigente e le norme contenute nella legge professionale, ancorché più favorevoli, sia sotto il profilo del tipo di sanzione applicabile[6], sia sotto il profilo del termine di prescrizione dell’illecito[7].

Tale impostazione, peraltro, risulta conforme all’orientamento espresso dal CNF con parere 10 aprile 2013[8], con argomentazione riferita sia al dato letterale del principio espresso nelle disposizioni transitorie della legge professionale[9], sia alla natura stessa del procedimento disciplinare di primo grado, che è essenzialmente procedimento amministrativo.

Invero, tale natura amministrativa pare sfumare nella configurazione del procedimento risultante dalla riforma legislativa del 2012; basti pensare alla struttura del procedimento disciplinare ed alle disposizioni che lo regolano[10] e, soprattutto, al rinvio contenuto nell’art. 59, lettera n) alle norme dettate dal Codice di Procedura Penale, pur nei limiti della compatibilità. Anche il Regolamento CNF 21.02.2014, n. 2, sul procedimento disciplinare, in attuazione della riforma forense, pur ribadendo la natura amministrativa del procedimento stesso (art. 10), sia nella terminologia adottata, sia nella strutturazione del procedimento, porta a compimento un ideale avvicinamento al processo penale che impone una riflessione sulla nozione e sulla funzione della deontologia, nel suo aspetto di applicazione pratica.

L’affermazione del principio del favor rei, che l’emanazione del Nuovo Codice deontologico forense ha reso finalmente operativo, e la nuova configurazione del procedimento disciplinare, la cui specifica disamina esula dai fini della presente trattazione, infatti, possono essere letti come indici della tendenza del legislatore a favorire la contaminazione del procedimento disciplinare con quegli elementi tipici del diritto penale che si pongono come regole di garanzia per chi si trovi soggetto ad un potere autoritativo di carattere sanzionatorio.

E sebbene la sanzione disciplinare, al contrario di quella penale, non incida su un diritto fondamentale quale la libertà personale, limitandosi ad attuare una “autodichia ordinamentale”, l’importazione nel relativo procedimento di tutele già implementate nel sistema penalistico non può che favorire la fiducia istituzionale e la diffusione di un’immagine dell’Avvocatura più vicina a ragioni di giustizia sostanziale che ad una formale adesione a regole la cui condivisione è ancora tutta da costruire.

Fonte: Altalex.com

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