Risarcibile il danno da perdita della capacità lavorativa, da liquidare con equo apprezzamento delle circostanze del caso (Cassazione, ordinanza n. 9682/2020)
Il soggetto non percettore di reddito (si pensi alla casalinga o allo studente) ha diritto al ristoro del danno patrimoniale relativo alla perdita della capacità di lavoro. Per valutare il danno futuro, il giudice deve accertare se la vittima, senza l’incidente, avrebbe trovato un lavoro adatto al proprio profilo professionale e se i postumi dell’infortunio le consentano lo svolgimento del suddetto lavoro.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza 26 maggio 2020, n. 9682 (testo in calce).
A seguito di un sinistro stradale, la danneggiata agiva contro il danneggiante e la sua società assicuratrice, al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno. In primo grado, veniva accolta la richiesta risarcitoria limitatamente al danno non patrimoniale, mentre era rigettata quella relativa al danno patrimoniale derivante dalla perdita della capacità di guadagno e dalla distruzione del veicolo. In sede di gravame, il giudice riteneva che l’attrice non avesse diritto al danno patrimoniale perché non lo aveva provato. Si giunge così in Cassazione.
La ricorrente si duole del rigetto della domanda risarcitoria relativa al danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa. In particolare, ella era in procinto di laurearsi in architettura e, benché non vi fosse la prova che avrebbe esercitato la libera professione in futuro, soffriva comunque di un’invalidità che le avrebbe impedito anche lo svolgimento del mero lavoro domestico. Infatti, la consulenza tecnica aveva individuato postumi invalidanti pari al 65%. La Suprema Corte ritiene fondato il motivo di ricorso, in quanto il giudice del gravame non ha motivato il rigetto della domanda della danneggiata, o meglio la pronuncia risulta viziata da una motivazione apparente.
Nel caso di specie, occorre stimare il danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno di un soggetto che ha subito una rilevante invalidità e che non risultava percettore di reddito al momento dell’infortunio. Ricordiamo brevemente la differenza tra perdita della capacità di lavoro generica e specifica:
la perdita della capacità lavorativa generica si sostanzia in un danno non patrimoniale consistente nelle difficoltà ad esercitare un’occupazione lavorativa astrattamente intesa;
la perdita della capacità lavorativa specifica è un danno patrimoniale consistente nella difficoltà di continuare a svolgere concretamente il proprio lavoro e da cui scaturisce il danno futuro da lucro cessante.
Si ricorda che «gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito» (Cass. 12211/2015). Per un approfondimento, si rimanda alla lettura della guida sul danno futuro.
Invece, nella fattispecie oggetto di scrutinio, i giudici di merito avevano negato il risarcimento per tale ultima posta di danno.
Nel caso in cui il soggetto che riporti delle lesioni permanenti non sia percettore di reddito (si pensi alla casalinga o allo studente), il giudice di merito deve effettuare due valutazioni:
stabilire se la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe verosimilmente svolto un lavoro redditizio;
accertare se i postumi precludano (o meno) la possibilità di svolgere in futuro un lavoro e trarne un reddito.
Invece, la Corte d’Appello si è limitata ad affermare che:
la vittima non avesse offerto un riscontro probatorio circa la contrazione del proprio reddito,
«non esiste alcuna presunzione del fatto che le pur gravissime lesioni subite dall’attrice non le avrebbero consentito di esercitare la professione di architetto, atteso che all’epoca dei fatti la stessa non era neanche laureata».
La Suprema Corte ritiene tale motivazione “al di sotto del minimo costituzionale” richiesto dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 8053/2014).
Quanto al primo rilievo, non si può pretendere da un soggetto non percettore di reddito la prova della contrazione delle proprie entrate come, invece, fatto dalla Corte d’Appello.
Quanto al secondo rilievo, non v’è consequenzialità tra il fatto che la vittima non avesse ancora conseguito la laurea con la circostanza che, in futuro, avrebbe potuto esercitare la professione di architetto.
Al giudice di merito era richiesto di liquidare un danno futuro, pertanto, avrebbe dovuto acclarare:
se era verosimile che la vittima, rimanendo sana, si sarebbe laureata;
se i postumi residuati all’infortunio erano compatibili con lo svolgimento delle attività lavorative, ivi compreso il lavoro domestico, confacenti alle abilità ed al grado di istruzione della vittima.
La sentenza viene, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’appello che, nella decisione, dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
“il danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell’infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, va liquidato stabilendo (con equo apprezzamento delle circostanze del caso, ex art. 2056 c.c.):
a) in primo luogo, se possa ritenersi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale;
b) in secondo luogo, se i postumi residuati all’infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale della vittima”.
Fonte: Altalex.com (articolo dell’Avv. Marcella Ferrari)