Stupefacenti, Sezioni Unite: è reato vendere cannabis light

Postato da il 19 lug 2019 in Diritto penale, prova, Tutti | 0 commenti

Stupefacenti, Sezioni Unite: è reato vendere cannabis light

E’ reato commercializzare i derivati della cannabis come le inflorescenze a meno che non siano privi di efficacia drogante. E’ quanto emerge dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione del 10 luglio 2019, n. 30475 (scarica il testo in calce).
Il quesito sottoposto alle Sezioni Unite era: “Se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell’art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 241 e, in particolare, la commercializzazione di canapa sativa L, rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell’ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa”.
Sul tema si fronteggiano due orientamenti giurisprudenziali contrapposti, un primo tendente a escludere che la legge del 2016 consenta la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L (Cass. pen., Sez. III, 10 gennaio 2019, n. 17387; Cass. pen., Sez. IV, 19 settembre 2018, n. 57703; Cass. pen., Sez. VI, 27 novembre 2018, n. 56737) ed un altro il quale, dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa L, ai sensi della legge del 2016, fa discendere la liceità anche della commercializzazione dei derivati quali foglie e inflorescenze, purché contengano una percentuale di principio attivo inferiore allo 0,6% (Cass. pen., Sez. VI, 29 novembre 2018, n. 4920).
Vi è, poi, un terzo orientamento, intermedio, che sostiene la liceità dei prodotti derivati dalla coltivazione di canapa consentita dalla novella del 2016, purché gli stessi presentino una percentuale di THC non superiore allo 0,2 % (Cass. pen., Sez. III, 7 dicembre 2018, n. 10809).
Secondo le Sezioni Unite, la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti, secondo la testuale elencazione contenuta nella tabella II, in assenza di alcun valore soglia preventivamente individuato dal legislatore penale rispetto alla percentuale di THC, rientrano nell’ambito dell’art. 73, commi 1 e 4 T.U. Stup. Detta fattispecie, infatti, incrimina, oltre la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la raffinazione, la vendita, l’offerta o la messa in vendita, la cessione o la ricezione a qualsiasi titolo, la distribuzione, il commercio, l’acquisto, l’esportazione, l’importazione, il trasporto, il fatto di procurare ad altri, l’invio, il passaggio o la spedizione in transito e la consegna per qualsiasi scopo o comunque illecita detenzione al dì fuori dell’ipotesi di uso personale, delle sostanze stupefacenti di cui alla tabella II, dell’art. 14 T.U. Stup.
Il range di tolleranza in cui non sussiste rilievo penale, ovvero la percentuale tra lo 0,2 e lo 0,6%, vale solo per scriminare l’agricoltore quando durante la maturazione la coltura impiegata in modo lecito finisca per superare i valori soglia indicati dalla normativa.
La normativa considera lecita solo l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, secondo quanto disposto dall’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del 13 giugno 2002 del Consiglio Europeo, consentendo un utilizzo per finalità alimentare, di cosmesi, di bioedilizia e per la bonifica di siti inquinati.

Fonte: Altalex.com (nota di Simone Marani)

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