Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 29/09/2015 n° 19304
“La prestazione di un’attività lavorativa per oltre sei anni tra due parti legate da una relazione sentimentale, oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato, si presume effettuata a titolo oneroso, potendo tuttavia essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, per una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi, che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alla vita e alle risorse della famiglia di fatto in modo che l’esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso”.
È questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella sentenza in esame.
Nello specifico, una lavoratrice chiedeva l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’allora convivente more uxorio in qualità di impiegata addetta all’amministrazione del consistente patrimonio immobiliare suo e della madre.
Il giudice, sia di primo che di secondo grado, aveva escluso la sussistenza di un rapporto di subordinazione “perchè l’attività lavorativa e di assistenza svolta all’interno di un contesto familiare in favore del convivente more uxorio trova di regola la sua causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed affettività esistenti, alternativi rispetto ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, qual è il rapporto di lavoro subordinato”.
Per la Suprema Corte, tuttavia, ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, e può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, solo ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa.
Al riguardo, la giurisprudenza prevalente ha escluso l’esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive soltanto in presenza della dimostrazione di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi (famiglia di fatto), che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alla vita e alle risorse della famiglia di fatto, in modo che l’esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso.
Nella fattispecie, la ricorrente ha però “negato che il rapporto, di natura meramente affettiva, sia mai sfociato in una effettiva e costante convivenza sotto un medesimo tetto… né (ha) mai ottenuto alcun altro tipo di vantaggio economico dal rapporto affettivo..nè… mai partecipato agli utili della gestione del patrimonio immobiliare del B. o… incrementato, in relazione ad essa, il proprio patrimonio o la propria posizione economica, non intervenendo, quindi, alcuna comunanza di interessi sul piano economico o patrimoniale”.
Concludendo, non è stata dimostrata la sussistenza di una finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, e, pertanto, il giudice di legittimità ha cassato la sentenza, rinviando alla Corte d’appello competente in diversa composizione.
Fonte: Altalex.com